LA POETICA FIGURALE DI GIANNI CELLA
FAVOLE, METAFORE E AFORISMI FIGURALI
…Quando Gianni s’infilò nella buca del Bianconiglio e incontrò il suo nuovo Regno, scoprì che in quel luogo, come per magia, poteva trasformare le idee, i nomi, i proverbi e i modi dire nei personaggi di una storia: eroi in azione, eroi in ricerca della propria identità, proprio come nelle fiabe e nei romanzi di formazione.
Nel regno della meta-arte e della pubblicità dove la citazione abbonda, in un gioco semiotico che allude alla vuotezza del segno e del suo rimando infinito, Gianni Cella prova a recuperare la metafora e a riempirla di sensi nuovi, prova a esplorare i simboli dell’immaginario collettivo contemporaneo. E lo fa con la consapevolezza della Morte di Dio, della caduta del mito della verità assoluta: “Una forma d’arte, questa capace di piacere a Nietzsche, il quale amava un’arte “ondeggiante, danzante, irridente e fanciullesca”, che ci è tuttora necessaria per non perdere quella libertà sopra le cose che la mente esige da noi, non distinguendo chi gioca dal gioco stesso. […] Credo che i personaggi di Cella possono essere definiti aforismi figurali e concettuali, in quanto ogni suo lavoro si offre come pensiero decentrato, plurale, inquieto, che sfugge continuamente all’unilateralità dei comportamenti, e colpisce il mito stesso della “verità”, costringendo il pensiero ad andare oltre, ad abbandonare ogni stabile certezza”. (cit. pp. 3-4, M. Vescovo, in Gianni Cella, Studio Vigato, Alessandria, 2005).
La malinconia del pagliaccio
Gli eroi di Cella sono eroi complessi e moderni: eroi con la cravatta, alieni, mutanti transgenici, totem ibridi. Sono eroi velati di malinconia, consapevoli della loro fragilità e della precarietà delle loro relazioni: “i pagliacci che muoiono sulla scena”. Surrealtà e ironia si mescolano dolcemente, rendendo le sue opere graffianti e ridanciane come un racconto di Stefano Benni; angoscianti e irrisolte come un racconto di Dino Buzzati.
L’empatia figurale
Gianni Cella suole dire che le sue immagini sono dotate di “empatia”: e l’empatia è proprio quella qualità del “sentire” che gli permette di dichiarare il suo amore per la vita, nonostante i moti disgreganti della società di massa. Non puoi non voler bene ai personaggi delle sue fiabe: essi fanno il verso alle nostre paure più profonde, colorandole di tinte accese e di movimenti goffi. Sdrammatizzare senza banalizzare la parte ombra, dunque, così da integrarla e “sognare più vero”.
E “sognare più vero” è quello che spinge ogni giorno Gianni Cella a creare: “C’è molto più cinismo, ma allo stesso tempo anche una forte speranza. Gli artisti per fortuna ci credono ancora! Il mondo dell’arte, tutto sommato è ancora tra i più puri, tra i migliori. […] L’arte permette ancora di osare…” (cit. pp. 9, intervista, in Gianni Cella, Studio Vigato, Alessandria, 2005).
Perché la vetroresina?
La vetroresina è un materiale che, a suo dire, “non ha memoria storica”, si adatta meglio alla modellazione perché si lavora come la creta. Nella scultura tradizionale il segno manuale e materico è visibile. La vetroresina trasforma invece le opere in creature con contorni morbidi e continui. Il gesto demiurgico del singolo diventa così un gesto demiurgico collettivo, non etichettabile, come se i personaggi rappresentati esistessero autonomamente da tempo “immemore”, per l’appunto.